Personaggi
Autopresentazione
IL SUICIDIO DI UNO SCIENZIATO NELL’ITALIA DEGLI ANNI ’50
L a ricognizione del titolo di questo testo che ha vinto il Premio “Teatro e Scienza” di Manerba del Garda è anche il metodo drammaturgico col quale sono state ricostruite o ripensate le ultime due giornate di vita del matematico napoletano Renato Caccioppoli, morto suicida nel 1959 all’età di cinquantacinque anni. Sin da un primo approccio Renato Caccioppoli presenta una singolare e seducente attrattiva per un autore teatrale: sembra un personaggio già scritto, una di quelle figure alte e inquietanti che spaziano agevolmente tra illusione e verità, tra incanto e messaggio, pronte per la scena in virtù di un’intrinseca e immodificabile proprietà trasfigurativa. Nipote dell’anarchico russo Bakunin, insigne cattedratico all’ateneo napoletano, direttore del Circolo del cinema, conferenziere e promotore di convegni sulla pace, Cacciappoli fu un uomo schivo ma bizzarro, poliedrico e per così dire esagerato: molti lo consideravano semplicemente un pazzo, e probabilmente tale è rimasto nella memoria del luogo comune; quelli che lo amavano e ne stimavano la lungimiranza intellettuale vedevano in lui un modello da imitare e da imporre alle nuove generazioni. Ma un personaggio che sembra già scritto non dà più sicurezza di un personaggio da scrivere, se non altro perche pone problemi di linguaggio e di fabula. Ecco allora l’idea di una ricognizione drammaturgica svolta a doppio filo su quella che presumibilmente imbastiva per se stesso e la sua avventura esistenziale uno scienziato italiano degli anni ’50: un atto di riappropriazione non esclusivamente sentimentale: un processo di definizione della propria identità secondo gli schemi di un’analisi minuziosa e spietata per consustanziare la conoscenza e l’agnizione di se stessi in un’azione liberatoria e quasi sacrificale, prima di un suicidio straziante quanto emblematico. Lo scopo, dunque, non era solo quello di ripresentare le atmosfere e i contenuti culturali e ideologici di quegli anni (si vedano ad esempio i personaggi di Carlo e di Giulio) nè di mostrare o dimostrare tesi “a posteriori” per un’agiografia consolidata anche se forse incompleta o incompiuta per gli uomini-simbolo dell’epoca (si pensi a Mario Alicata). Lo scopo, piuttosto, è stato quello di ripercorrere, più o meno fedelmente e comunque evitando somiglianze e analogie romanzate, quel processo di ri-conoscimento che uno studioso come Caccioppoli operava sui luoghi deputati della sua vita: le tensioni politiche e sociali, le connessioni tradite o trascurate tra disciplina scientifica e attività culturale, le lacerazioni degli intellettuali che si ritrovarono, dopo gli avvenimenti del ‘ 56, in una zona franca o in un territorio di nessuno nella sinistra italiana. Da qui deriva il tentativo di ricomporre, sulla ricerca dei grandi temi, la ricerca della verità secondo uno spirito fenomenologico e con un’attenzione rivolta ai moduli più che ai fatti, alle posizioni personali più che a quelle ufficiali. Da qui, ancora, l’innesto o l’invenzione di personaggi e situazioni che, al di là della verosimiglianza storica, potessero rendere sulla scena il paradigma tortuoso ma esaltante delle delusioni e delle attese, dei limiti e dei conflitti di un uomo come Caccioppoli, diviso tra solitudine e azzardo. E il processo ricognitivo si estende inevitabilmente agli umori e alle disarmonie della città-teatro di questa vicenda: quella Napoli che, due anni dopo il suicidio di Caccioppoli, veniva “codificata” da Raffaele La Capria nell’unico possibile destino che sembra tuttora competerle: la città che addormenta o che ferisce a morte, la città che non coglie il senso del tempo e che resta invisibile a se stessa in una scialba e astratta decantazione di smanie.
Antonio Scavone
Scheda autore
ANTONIO SCAVONE (Napoli, ’47) ha esordito nel 1975 su “Nuovi Argomenti” con il racconto Un azzardo, storia di “una giornata”, nel destino di un giovane artista che sperimenta se stesso sui moduli di una babelica autocoscienza. Per la Rai ha curato la sceneggiatura radiofonica de La bella bionda, 1980, dal racconto di Imbriani ed è stato co-autore con Gennaro Magliulo di Lezioni di farsa, 1981, resoconto storico-antologico sulla farsa dalle origini a oggi. Debutta in teatro con Vi servo io, 1982, disincantata dichiarazione di odio-amore dell’attore napoletano, isolato in una monologante riaffermazione di identità per una catarsi grottesca e irreale attraverso le miserie del primo ‘900, i fermenti del secondo dopoguerra e il disimpegno attuale. Con Mar nero, radiodramma del 1983, affronta le lacerazioni morali e la consapevolezza della disfatta sociale provocate dalla camorra sui luoghi e sulle coscienze di un Sud sempre più degradato. Basse frequenze, 1987, racconta la disarmante realtà quotidiana di due giovani aspiranti attrici, divise e accomunate dalle smanie di un successo improbabile e dalle esagerazioni di una mal riposta teatralità. Gli atti unici Signora Clara del 1987 e Una notte d’Italia dell’anno seguente presentano un tema identico: la condizione esistenziale di un ‘infelicità senza più desideri, di una ricerca senza sbocco che si riscatta appena in una superstite lucidità d’intenti. Nel primo, un intrigo giallesco fa da sfondo a un breve incontro sentimentale, squallido e incompiuto, che devitalizza le residue velleità della protagonista. Il secondo, invece, è il solitario viaggio ferroviario di un donchisciottesco intellettuale di sinistra che, abbandonato dagli amici e forse dagli ideali, cerca affannosamente di dare tregua e respiro alle incertezze e alle aspettative del suo candido e ingarbugliato microcosmo. L’inedito Spariglio di Re (Premio “Anticoli Corrado” 1986) è l’impietoso ritratto di una napoletanità decadente e fatua che affossa le proprie energie nello scopone scientifico, come in un rancoroso gioco di massacro, una rinunciataria pratica di vita. Regolamento interno (Premio “Giuseppe Fava” 1989) è la vicenda amara di una testimone in un processo di ‘ndrangheta che sceglie sul proprio dolore di madre e nella forzata mistificazione dei suoi diritti il coraggio di ritirarsi e di tenere per sé le verità che la corruzione e la violenza hanno ormai svilito. Nel 1990 ha vinto il Premio “Teatro e Scienza” con Ricognizione assoluta, ricostruzione drammaturgica delle ultime due giornate di vita del matematico napoletano Renato Caccioppoli, in una trasfigurata riflessione sul ruolo dello scienziato e dell’intellettuale italiano negli anni del secondo dopoguerra tra i disinganni, i tradimenti, le imprese eroiche e geniali di una generazione spesso costretta alla solitudine. Nella corrente stagione andrà in scena Acchinson, l’avventura surreale di un barbiere che dialoga col suo unico cliente intorno alle “essenze” qualificative dell’esistenza. Attualmente collabora col Teatro Politecnico di Roma in qualità di direttore artistico.