2015 - 4
ottobre | dicembre

MALACRESCITA

DIALOGO INFANTILE IN FUSA E IN VERSI PER ATTORE E MUSICISTA, liberamente tratto da "La madre: 'I figlie so' piezze 'i sfaccimma"

Numero personaggi: 1
di Mimmo Borrelli

AUTOPRESENTAZIONE
Avvelena i figli la Medea contemporanea
cresciuta nella “terra dei fuochi”
Maria Sibilla Ascione è ignara e innocente bambina, figlia di un noto camorrista del casertano, proprietario terriero dedito alla coltivazione dei pomodori, nei suoi appezzamenti disseminati tra Mondragone, Villaricca, Villaliterno, Casal di Principe. Ma l’“oro rosso” non gli basta. Lo smaltimento clandestino dei rifiuti tossici provenienti dalle industrie del nord, in cave abusive ricavate da alcune delle sue stesse tenute, comincia infatti a fruttargli un immane giro di danaro. E di potere.

Donna precoce, bellissima, intelligente, arguta adolescente, Maria studia, per dimenticare l’inaccettabile: essere figlia di un despota dedito alla distruzione e allo sfruttamento dei suoi sudditi, devoti picciotti, delle sue terre e della povera gente. Ma è a questo punto che arriva l’Anticristo, il Giasone risorto dai libri di scuola, Francesco Schiavone detto Santokanne: intraprendente bulletto di periferia, determinato e disposto a tutto, per favorire la sua ascesa al potere, tra le fila delle
cosche. Di costui Maria si innamora perdutamente e per lui compie ogni misfatto. Uccide il fratello e fa morire di crepacuore e collera il padre, fugge via e si nasconde straniera ed esule a Cuma, mentre Santokanne, compie fughe amorose con diverse donne del paese. Maria Sibilla si ritrova nel “medeo” e forse anche amletico dubbio di uccidere quei figli che porta in grembo. Un grembo insozzato da un seme che
non riconosce più. Ma, nonostante i tentativi di aborto, alla fine, partorisce due gemelli. Le promesse d’amore del marito, intanto, sono ricadute nel vano di nuove bugie. E la madre assassina sopita e riposta nel subconscio viene fuori. Viene fuori il mostro. Maria in un momento di follia comincia ad allattare i figli neonati col vino. Riducendoli in due mostri completamente scemi e distruggendo così, definitivamente, la stirpe di Santokanne-Giasone.

Nel testo originale, la madre sopravvissuta è condannata a raccontare, ormai esule, barbona e sola, le sue insane gesta ai propri gatti, gli unici figli che le sono rimasti, di cui si circonda per farsi compagnia. In Malacrescita invece capovolgiamo il punto di vista, immaginando che tutti i protagonisti di questa storia siano ormai defunti e gli unici sopravvissuti – agonisti giullari, diseredati, miserabili – siano i due figli, i due scemi che rivivono i fatti tra versi, ricordi, rievocando le pulsioni, gli umori, i suoni, le urla, i mormorii della loro aguzzina, vestendo ed espiando, attraverso i suoi lerci e ammuffiti abiti, gli intenti e i moniti di colei che li ha lasciati al mondo, ma abbandonati, come dei rifiuti, messi da parte, come le discariche ricolme di vegetazione innaffiata dal percolato, rinchiusi tra le pareti di un utero irrorato di solitudine, dove l’unico gioco consiste nel rimbalzarsi, tra gli spasmi della loro degenerata fantasia, tra le folli trame insanguinate di questa tragedia, sul precipizio di un improvvisato altare di bottiglie, eretto in nome della loro mamma, ’u cunto stesso, la placenta, l’origine della loro malacrescita. Mimmo Borrelli

Mimmo Borrelli, in una scena.
Mimmo Borrelli, in una scena.

Premio Hystrio alla Drammaturgia 2015
a Mimmo Borrelli: la motivazione

La cantilena strascicata di Bacoli, l’epos omerico, l’asprezza melica della tragedia greca, le terzine infernali dantesche, i drammi notturni di Raffaele Viviani, le poesie di Michele Sovente, l’insegnamento di Ernesto Salemme, il professore di Italiano e Latino che gli guidò la mano alla scrittura per il teatro. C’è questo e altro nella drammaturgia di Mimmo Borrelli: c’è il dialetto inteso come verbalità che sa farsi immediata azione in scena, c’è il verso inteso come mezzo per evocare e concretizzare ritmicamente l’immagine, c’è il ruolo dell’aedo che coglie, ascolta,
spia, registra, fa proprie le storie e gli umori della terra alla quale appartiene. ’Nzularchia, ’A Sciaveca e La Madre, Malacrescita, Napucalisse, Cante e Schiante, Opera pezzentella sono dunque l’espressione di un ciclo compositivo secondo cui la comunità flegrea si fa parola, la parola alimenta la voce, la voce abita il corpo, il corpo produce visione, offerta sacrificale di sé, spettacolo condiviso con la platea. Per aver dunque imposto l’ascolto di una lingua antica e nuova insieme, per aver reso apparenza all’ondoso litorale marino e alla degradazione sulfurea della terra campana, per essersi lasciato possedere dalla sua stessa scrittura così da trasmetterla al pubblico, ogni volta emozionandolo, siamo orgogliosi di assegnare a Mimmo Borrelli il Premio Hystrio alla drammaturgia 2015.

Un momento della premiazione (foto di Marina Siciliano).
Un momento della premiazione (foto di Marina Siciliano).

Mimmo Borrelli 2

MIMMO BORRELLI

È nato a Napoli il 7 maggio 1979, ma le sue origini sono a Torregaveta, epicentro dei Campi Flegrei in cui dimora e nella cui cultura linguistica sono ambientate tutte le sue pièce. Attore, poeta, regista, drammaturgo e scrittore, dall’età di 18 anni collabora con molteplici piccole-grandi realtà, formandosi nelle numerose “botteghe teatrali” che compongono l’intricato panorama teatrale napoletano. Durante i primi anni della sua carriera è cantante, attore e burattinaio, lavora col teatro di figura di strada, nonché dei Pupi napoletani e delle “guarattelle”. Si afferma come autore grazie al Premio Riccione dove vince due edizioni con ’Nzularchìa (2005) e ’A Sciaveca (Premio Tondelli, 2007). Dal 2010 approda alla regia e al capocomicato, fondando la propria compagnia “Marina Commedia Società Teatrale” e interpretando i suoi testi (il primo successo con La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma). Numerose le sue collaborazioni, con artisti quali Franco Branciaroli, Davide Iodice, Claudio Longhi, Nello Mascia, Mario Santella, Carlo Cerciello, Patrizio Trampetti, con il Teatro Stabile di Torino e con il Piccolo di Milano, stabilmente col Teatro Mercadante. I suoi versi, oltre che da lui stesso, sono letti e interpretati da Toni Servillo nel suo celeberrimo reading Toni Servillo legge Napoli, accanto ai testi di Di Giacomo, Bovio, Russo, Viviani, De Filippo. Dal 2012 è direttore artistico del Mirabilis Festival di Bacoli. Fra i Numerosi riconoscimenti ottenuti, oltre al Riccione, ricordiamo il Premio Vittorio Gassman come “Miglior giovane talento italiano” per ’Nzularchìa (2008), il Premio Eti-Olimpici del Teatro per ’Nzularchìa, come “Miglior spettacolo d’innovazione” (2008), il Premio Della Critica Teatrale, Associazione Nazionale Critici Italiani, come regista, autore e attore (2012), il Premio Testori come miglior autore di un testo letterario per La madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimme (2013) e il Premio Hystrio per la drammaturgia (2015).

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