Inventarsi la vita,
per superare la “condanna” del passato
E se quel che si fa in teatro fosse possibile veramente? Inventarsi un personaggio, e poi vivere quella vita, e non più la propria? Ognuno farebbe di sé quello che vuole, ogni sogno sarebbe vero, e non ci sarebbe il passato a rovinare ogni progetto, il senso di colpa a insidiare ogni presente. Se si potesse fare veramente, ma non per “sembrare” diversi, per “essere”diversi.
Qui due personaggi si incontrano, in un ambiente dal quale sembra nessuno possa uscire. Non possono far altro che confrontarsi, mettersi alle strette, arrivare al senso più vero che conoscono di loro stessi. Perché devono salvarsi, entrambi, per poter uscire da lì. Per potersi riconoscere devono arrivare al fondo, nel buio più fitto che mai hanno frequentato. Già, per vedersi in faccia, devono andare dove non c’è luce. Devono scarnificare, togliere dalla mente dolori, trascorsi, speranze. Devono inventarsi, con leggerezza. Per arrivare a “fingere che è dolore il dolore che davvero si sente”.
A volte ci troviamo schiacciati, come si sente dire, dalla noia del presente e dalla paura del futuro. Tutto questo viene dal fatto che ormai ci siamo convinti che l’unica cosa che esiste è il passato. L’unica cosa vera, che tutti possiamo raccontare, ci sembra essere il passato. E da quello ci lasciamo condizionare le giornate. Se nel tuo passato c’è un atto grave, tu non sarai mai altro se non quello. Siamo tutti quel che abbiamo fatto. Come se anche il passato, raccontandolo, non si inventi ogni volta.
Ci devono essere momenti in cui quel che si è fatto non deve bastare a raccontare quel che si è diventati. Normalmente, il mondo nel quale viviamo, quello fatto di relazioni reali e virtuali, non ammette cambiamenti. Ti identifica in un personaggio e in quello ti lascia per sempre. Ma potrebbe non essere così per sempre. Dovremmo poterci prendere tutti una rivincita sul passato, su quel che siamo stati, inventarci un personaggio, crederci prima noi e poi aspettare che qualcuno ci creda insieme a noi. Cambiare la vita se la vita non funziona. Per evitare che diventi una condanna. Michele Santeramo
LA RESA DEI CONTI, di Michele Santeramo. Regia di Peppino Mazzotta. Scene e costumi di Lino Fiorito. Luci di Cesare Accetta. Con Daniele Russo e Andrea Di Casa. Prod. Fondazione Teatro di Napoli Teatro Bellini – Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia.
Lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale al Napoli Teatro Festival, il 5 e 6 luglio 2018. In seguito, è stato ripreso al Teatro Era di Pontedera (27 e 28 ottobre) e sarà in tournèe durante la prossima stagione. La recensione dello spettacolo è su Hystrio n. 4.2018, pag. 82.
Michele Santeramo. Nasce il 22 agosto 1974 a Terlizzi (Ba). Attore, nel 2001 fonda con Michele Sinisi la Compagnia Teatro Minimo, con sede ad Andria e da allora conduce un’intensa attività come autore. Nel 2009 il testo Sequestro all’italiana arriva in finale al Premio Riccione per il Teatro, che Santeramo vince nel 2011 con il testo Il Guaritore, pubblicato su Hystrio n.4.2013 e andato in scena con la regia di Leo Muscato. Lo spettacolo vince l’Ubu come migliore novità italiana nel 2014. Nello stesso anno Santeramo vince il Premio Hystrio alla Drammaturgia. Scrive quindi Preamleto (2015, pubblicato su Hystrio n. 3.2015 e andato in scena con la regia di Veronica Cruciani), La Prossima Stagione e La rivincita (2016), Il Nullafacente (2017), Leonardo da Vinci – l’opera nascosta (2017), La resa dei conti (2018), oltre agli adattamenti di Tito Andronico di Shakespeare per la produzione del Teatro Bellini di Napoli (2016, regia di Gabriele Russo) e di Uomini e no di Elio Vittorini per la produzione del Piccolo Teatro di Milano (2017, regia di Carmelo Rifici). I suoi testi sono tradotti e messi in scena in Romania, Francia, Polonia, Stati Uniti, Brasile.