Personaggi
Autopresentazione
TELEMACO e ULISSE, pensando a mio padre Ho vissuto tutta la mia infanzia e l’adolescenza su una spiaggia abbandonata del Salento, dove capeggiava una baracca piena di cozze gestita da Antonio: l’Antonio delle cozze, appunto. Lì ho imparato quel mare a cui do voce nel mio testo, lì ho assistito ai silenzi di Antonio, un ex galeotto con trent’anni di galera sulle spalle per aver ammazzato moglie e amante, che passava il tempo a pulire cozze e a vendere “bionde” sigarette, sbarcate sulla spiaggia di contrabbando. Lì ho atteso per anni che mio padre tornasse a casa, convinto com’ero che la separazione dei genitori fosse un qualcosa di rimarginabile. Lì pensavo spesso a Telemaco e alla sua attesa estatica di un padre che non tornava e non me ne facevo una ragione. Io mio padre l’ho vissuto, anche se a distanza; l’ho potuto amare, anche se in quei pochi giorni all’anno che passavamo insieme. Sono anche riuscito a portarlo in giro con me durante una tournée di qualche anno fa. Telemaco, invece, no. Lui ha atteso vent’anni senza che Ulisse si affacciasse mai sulle rive di Itaca. Non me ne facevo una ragione e pensavo che quel ragazzo, diventato uomo senza una mezza foto del padre, dovesse odiarlo Ulisse piuttosto che attenderlo a braccia aperte. Poi un giorno di due anni fa, all’improvviso, come uno schianto, mio padre se ne va per sempre. Neanche il tempo di respirare mi lascia, inchiodato come sono a mille chilometri di distanza, in scena a Milano, bloccato dal teatro che è la mia vita e che odio in quel momento, seduto su una sedia a ripetere parole che appaiono senza senso, mentre tutt’altri pensieri mi scorrono davanti. E mi ritorna in mente l’immagine di un padre che correva la vita a velocità doppia perché, forse, già sapeva che non tutta l’avrebbe vissuta. Ma un pensiero mi consola: averli corsi insieme a lui tutti i miei anni, cercando di stargli dietro alla stessa velocità. Niente ho perso, pur nell’assenza. Tutto ho recuperato e l’ho lasciato andare via senza il rimpianto di non aver fatto o detto. Tranne quegli ultimi giorni, quelle ultime parole banali: «Ci vediamo lunedì, papà». «Grazie di tutto, Mario mio». Ero distratto e non ho fatto attenzione a quel «grazie di tutto». Lui, mio padre, sicuramente presagiva: ma io non ho capito. Questa piccola enorme svista è stata la molla, da qui è nata una paura inutile ma ossessiva: e se mi fossi distratto più spesso e non avessi vissuto così intensamente mio padre, come starei adesso? Se avessi mancato quasi tutte le occasioni, con chi mi potrei sfogare? Su chi potrei scaricare la rabbia? La domanda pare inutile perché questo non è accaduto… Ma sarebbe potuto accadere. Ed è proprio sui “sarebbe potuto” che ragioniamo noi che giochiamo al teatro. Il gioco è dare corpo al possibile, a ciò che non siamo ma avremmo potuto o voluto o, addirittura, odiato essere. Indaghiamo il “potenziale” che si affaccia a ogni bivio. È così che tentiamo di conoscerci. E allora, Telemaco, adesso tocca a noi due. Adesso devo indagarti, perché, forse, non sei proprio tutto d’un pezzo; forse quel tuo attendere solido, marmoreo, forse posso sgretolarlo e scoprirti i nervi: posso renderti umano. Ora che conosco fino in fondo “l’assenza”, posso darti un corpo e una voce, per renderti così come ti ho sempre immaginato. Forse non sei tutto d’un pezzo… Questa è la genesi, ricostruita a brandelli, del mio spettacolo Odissea, queste sono le ragioni reali (o potenziali?) che mi hanno fatto compiere ancora una volta una scelta. Questa è la “necessità” che ha provocato l’assenza improvvisa di mio padre. Perché questo io credo: chi tenta teatro, tenta semplicemente di rendere necessario agli altri ciò che è necessario per sé. Non sempre ci riesce, ma il fallimento è sicuro se rinuncia a questo principio di necessità. Mario Perrotta
Scheda autore
MARIO PERROTTA (Lecce, 1970) è attore, drammaturgo e regista. Socio fondatore insieme ad altri venti giovani artisti della Compagnia del Teatro dell’Argine, è considerato una delle figure emergenti del teatro italiano e il suo progetto Italiani cìncali (finalista Ubu 2004) sull’emigrazione del dopoguerra, ha raggiunto le 500 repliche tra Italia ed Europa. Nel 2006 dirige con Rossella Battisti la collana Teatro Incivile per il quotidiano L’Unità, presentando in dvd spettacoli di Ascanio Celestini, Emma Dante, Davide Enia, Giuliana Musso e Armando Punzo. Per Radio 2 Rai realizza la trasmissione in 15 puntate Emigranti Esprèss vincitrice (ex equo con la Bbc) del Premio Speciale della Giuria al Trt International Radio Competition di Istanbul. Dal successo radiofonico di Emigranti Esprèss deriva anche la pubblicazione di un libro dall’omonimo titolo per Fandango Libri. Nel novembre 2007 debutta con Odissea, riscrittura contemporanea del classico greco, che gli vale la candidatura agli ultimi Premi Ubu, come Miglior attore protagonista e il Premio Hystrio alla drammaturgia 2009. Nel 2008 riceve il Premio Città del Diario, assegnato in precedenza a Marco Paolini, Ascanio Celestini e Rita Borsellino, dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. In quell’occasione la direzione dell’Archivio affida a Perrotta la scrittura di un romanzo-documentario per celebrare i 25 anni di storia dell’Archivio stesso. Nel settembre 2009 esce, appunto, il secondo romanzo di Perrotta intitolato Il paese dei diari e pubblicato da Terre di Mezzo. Il suo nuovo progetto teatrale, invece, lo vedrà impegnato per tre anni (2009-2011) su tre autori classici: Molière, Aristofane e Flaubert. Il trittico, intitolato Trilogia sull’individuo sociale, ha debuttato in giugno con Il misantropo coprodotto da Teatro dell’Argine, Festival delle Colline Torinesi, Armunia-Inequilibrio e Castel dei Mondi Festival.