AUTOPRESENTAZIONE
Amleto alla prova: esercitare il potere
rinunciando ai soprusi
«Il potere a questo serve: a continuare a comandare». Re Amleto è malato: non ha più memoria. Non ricorda niente, nemmeno chi sia sua moglie, né chi sia suo figlio Amleto, né tantomeno a quale faccia corrisponda suo fratello Claudio. Non ricorda niente ma comanda ancora, ha ancora potere di vita e di morte su tutti. La perdita continua della memoria produce nel personaggio del Re una tenerezza e una forza comica che sono centrali nel testo, accompagnate dalla presenza di Polonio, consigliere timoroso, sempre indeciso, pronto comunque ad “accorrere in soccorso dei vincitori”, come molte figure di questa Italia.
Indagare su quel che può accadere prima dell’Amleto significa provare a scoprire intrecci e motivazioni che nel testo scespiriano si affidano solo alla fantasia dello spettatore. Se cambiassero le premesse, la storia di Amleto sarebbe comunque piena di uccisioni, vendette, assassini? La sensazione è che quella storia sia diventata il modello a cui l’umanità si è ispirata, e che ha ben saputo replicare nella vita di tutti i giorni; una storia che non accadrebbe se non venisse ispirata dalla parola Vendetta. «Vendica il mio brutale e snaturato assassinio», dice lo spettro a suo figlio Amleto. Probabilmente è quello il momento in cui nasce Amleto, e nascono l’immagine e il modello a cui noi stessi ci ispiriamo. Forse è arrivato il momento – così la pensa qualcuno di questi personaggi – di cambiare specchio, di provare a vivere la gestione del potere, a qualunque livello, rinunciando al sopruso e alla violenza, che sembrano le uniche premesse di quel che definiamo Giustizia.
Il testo prova a mettere di fronte allo spettatore questi personaggi nell’atto di prendere la decisione che cambierà le vite di tutti. Mostra i retroscena dei rapporti interni a un gruppo stretto dal vincolo familiare, che diventano lo specchio di quanto il comportamento umano possa distorcersi ogni volta che si relaziona al potere.
Michele Santeramo
Premio Hystrio alla Drammaturgia 2014
a Michele Santeramo: la motivazione
Michele Santeramo in quasi un quindicennio di attività drammaturgica ha elaborato una scrittura in continua evoluzione, ma sempre ancorata a una profonda “dicibilità” teatrale. Dai primi lavori per Teatro Minimo, da lui fondato nel 2001 con Michele Sinisi, in cui prevaleva la forma monologante e che lo hanno visto anche interprete – come ne Il Barone dei Porci o in un emozionante rifacimento del Cyrano di Rostand – a strutture compositive sempre più complesse, le sue pièce hanno suscitato l’interesse di numerose compagnie del panorama nazionale. Acuto osservatore del presente, Santeramo analizza con dolente ironia le contraddizioni del contemporaneo, filtrandole con una vena grottesca, sottilmente crudele, che spesso sfocia nel surreale o nell’iperreale e che riesce a riflettere, anche nel linguaggio, le difficoltà di un certo meridione ad affrancarsi da antichi retaggi. Pensiamo soprattutto ai lavori di questi ultimi anni – Sequestro all’italiana, Le scarpe, Il guaritore (Premio Riccione 2011), La prima cena e La rivincita, recentemente pubblicato in forma di romanzo da Baldini & Castoldi – in cui quel mondo di umiliati e offesi trova un habitat dalle molteplici implicazioni senza mai cadere nel patetico. A Michele Santeramo, sensibile cantore di un sud dell’anima in cerca di dignità esistenziale, va un più che meritato Premio Hystrio alla drammaturgia.
MICHELE SANTERAMO
Nasce il 22 agosto 1974 a Terlizzi (Ba). Attore, nel 2001 fonda con Michele Sinisi la Compagnia Teatro Minimo, con sede ad Andria e conduce un’intensa attività come autore. Scrive Nobili e Porci libri, Konfine (Selezione Enzimi 2003), Accadueò (Premio Voci dell’Anima 2004), Murgia (spettacolo Generazione Scenario 2003), Vico Angelo Custode, Sacco e Vanzetti, loro malgrado, pubblicato per Editoria & Spettacolo, e ancora Le scarpe e Cirano. Nel 2007 scrive Il Sogno degli artigiani; è autore dello spettacolo Fanculopensiero stanza 510. Scrive Sequestro all’italiana e arriva finalista al Premio Riccione per il Teatro 2009, che vince, nel 2011, con Il Guaritore. Altri suoi testi: Le Scarpe, in scena con Teatro Minimo, in coproduzione con Fondazione Pontedera Teatro (2010), La rivincita (2012) e, sempre nel 2012, Il Giorno del Signore.