Personaggi
Autopresentazione
Frammenti di storie di coppie per attore solo e pubblico Questi amati orrori ha segnato un netto cambio di direzione rispetto ai miei lavori precedenti. Avevo spesso scritto avendo in mente precisi interpreti e discutendo con loro la linea da dare al testo già durante la stesura. Qui però, per la prima volta, ho costruito una partitura verbale senza fondarla su una struttura drammaturgica di tipo narrativo, ma traendo spunto da quanto proposto da un attore (Massimiliano Speziani) in lunghe sessioni d’improvvisazione. Questo scarto metodologico mi ha indotto a esplorare territori per me nuovi sul piano della lingua e dello stile, abbandonando l’esibita e ironica letterarietà che era tipica, per esempio, di Tre – Una storia d’amore, per cercare di dare forma a una scrittura più lieve, sospesa e reticente. Il “Lui” che cerca una relazione con gli spettatori in Questi amati orrori evoca storie incomplete, semi-cancellate dall’oblio, marcate da un senso di perdita o di abbandono: ecco, non è la riflessione sul teatro, ma un certo sapore di elegia, scoperto dopo anni d’immersione nel fantastico e nel grottesco, ciò che più mi è caro in questo “anti-monologo” divagante e delicato. Renato Gabrielli All’inizio di un lavoro, una domanda. Cosa unisce un attore a uno o più spettatori in teatro, durante una rappresentazione? Al di là delle convenzioni e delle abitudini, cosa li legittima e li spinge uno ad agire e l’altro ad assistere? In teatro, consapevolmente o meno, avviene un “incontro”, si instaura una “relazione” tra attore e spettatore da cui scaturisce un sentimento. Un sentimento condiviso e vissuto. Il sentimento dello spettacolo. Sentimento che ha sì a che vedere con la storia che si rappresentata, ma è forse il tramite di qualcosa di più essenziale. Un maestro, o forse più maestri, del secolo scorso dicevano che il teatro non è il “cosa”, ma il “come”. Diciamo allora che questo sentimento riguarda il “come”. Dopo l’“incontro”, dopo la rappresentazione ognuno porta con sé il gusto di tale sentimento, gusto che ha a che fare con qualcosa che riguarda l’aver vissuto un’esperienza. Questi amati orrori è iniziato con questa domanda e con il desiderio che l’accompagna. Da settembre 2009 a giugno 2010 abbiamo avuto a disposizione tre periodi di dieci giorni ciascuno, più la fase dell’allestimento. Abbiamo abbozzato, e poi definito durante le prove, due spazi. Il primo, uno spazio che potesse raccontare l’essere “in vista”, l’essere osservato, l’essere al centro dell’attenzione e non solo della rappresentazione; uno spazio quadrato, quindi, delimitato da panche, al cui interno l’attore accede attraverso un ingresso formato dalla discontinuità delle panche stesse. È questo il luogo della relazione e dell’apparizione, dell’esibizione. Il secondo, uno spazio esterno, di preparazione per l’attore, visibile e non visibile, una zona ampia, che nello spettacolo è diventato tutto lo spazio del Teatro LaCucina. Nel primo periodo di residenza si è iniziato a improvvisare. Non ne è nata una storia o più storie ma frammenti di esse fatte di apparizioni, iterazioni sonore oltre che gestuali, fotogrammi in movimento di figure. Tali frammenti incarnavano delle “relazioni”: Cane-Padrone, Madre-Figlio, Uomo- Donna, Paziente-Dottore e Attore-Spettatore. Ne sono nate delle figure bifronti per ognuna di queste coppie. È seguita una fase di scrittura sul materiale creato dall’attore, da parte di Renato Gabrielli. I frammenti oggettivati sulla carta si sono successivamente arricchiti e precisati in una nuova fase di elaborazione scenica e di improvvisazione strutturata da parte mia. Nello spazio delimitato dalle panche, abbiamo iniziato a immaginare che il pubblico seguisse “lui”, l’attore, nel suo agire, e che l’attore iniziasse a creare una relazione con esso, soprattutto nei passaggi tra un frammento e l’altro. Non ci siamo orientati a definire quello che poteva essere un rapporto diretto, fatto di domande o coinvolgimenti dello spettatore in prima persona, ma abbiamo indagato e ricercato quella qualità del sospeso e del non detto che scaturisce dalla vicinanza e dall’intimità e da una predisposizione del nostro “Lui” a essere lì, a essere osservato, a sentire di essere guardato. Predisposizione che si può sintetizzare con la frase: «Sono qui per voi». Frase che non è mai diventata una battuta del testo, ma è rimasta impulso e guida dell’attore per dare vita a uno spazio interiore per lo spettatore, dove lasciare liberamente riverberare le impressioni e le sensazioni legate ai frammenti evocati. Massimiliano Speziani
Scheda autore
RENATO GABRIELLI Scrive per il teatro e la televisione. Esordisce al Crt di Milano nel 1989 con Lettere alla fidanzata, cui seguono Oltremare, Oplà, siamo vivi! e Moro e il suo boia. Nel 1993 vince, nell’ambito del Premio Riccione per il teatro, il Premio “Pier Vittorio Tondelli” con Esperimenti criminali. Dal 1997 al 2001 è drammaturgo del Centro Teatrale Bresciano. Per il Ctb scrive e dirige Una donna romantica, Curriculum Vitae e Giudici (pubblicato su Hystrio n. 1.2003). Del 2003 è la commedia Vendutissimi. Mobile Thriller, allestito in un’automobile, riceve il Premio Herald Angel al Fringe Festival di Edimburgo del 2004. Nel 2005 scrive per la compagnia scozzese Suspect Culture il testo bilingue A Different Language. Tra i suoi lavori più recenti, ricordiamo Cesso dentro, Salviamo i bambini e Tre (pubblicato su Hystrio n. 4.2007), con la regia di Sabrina Sinatti. Nel 2008 vince il Premio Hystrio per la drammaturgia e nel 2009 il Premio Milano per il Teatro della giuria degli specialisti per Tre. È insegnante di scrittura scenica; ha tenuto laboratori, tra l’altro, presso l’Università Statale di Milano, la Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano e la Scuola Holden di Torino.